DIZIONARIO MINIMO: Quei giorni - prima parte
di Libero Venturi - domenica 29 luglio 2018 ore 07:41
Quei giorni d’estate che stai bene solo a casa, in mutande e canottiera, con una birra ghiacciata, davanti al ventilatore, che bevi e sudi e più bevi e più sudi e senti il fresco in faccia e poi ti si blocca la cervicale. Puoi leggere o scrivere, non è proibito e va bene anche un tè freddo, ma con la birra sudi di più e poi ti viene da ridere. Almeno a me.
Quei giorni che esci e chiudi la porta di casa e, appena chiusa, ti viene un sussulto improvviso e tardivo e ti frughi nelle tasche: le ho prese le chiavi? E, quando ti accorgi che le hai, tiri un respiro di sollievo per tutte le volte che invece le hai lasciate dentro e hai dovuto, nell’ordine: bestemmiare il buon Dio, chiamare un fabbro e cambiare la serratura. Vivere pericolosamente. Provare sollievo per ciò che può accadere di nefasto e invece non accade, ti dà un brivido di piacere. Almeno questa volta.
Quelle volte che invece le chiavi le perdi, ne hai un altro mazzo, ma non ti senti sicuro. Chi le ha trovate potrebbe entrarti in casa! E allora cambi la serratura, anzi le serrature: sono due normali, più una di sicurezza, che sarà mai? Le compri dal tuo ferramenta di fiducia che ti chiede uno stonfo e se ti riesce montarle e te paghi e rispondi: che ci vuole? Poi corri a casa e sostituisci il cilindro delle prime due: un gioco da ragazzi. Dopo smonti la serratura di sicurezza e ti rendi conto perché si chiama così: perché è sicuro che non la rimonti più. Almeno non in fretta come le altre. Bisogna, nell’ordine: bestemmiare il buon Dio, tornare dal ferramenta di fiducia a farsi spiegare una cosa e poi montarla e smontarla una dozzina di volte finché alla fine, allo stremo, la serratura va e la chiave gira. Hai impiegato mattina e pomeriggio, ma ora la casa è sicura e il tempo passa meglio e in fretta, quando ci si diverte.
Quei giorni perduti a rincorrere il vento, a chiederci un bacio e a volerne altri cento... Io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai, amore che vieni, amore che vai. Vabbè, amico fragile, però se decidi è meglio. Tanto i giorni li porta via il vento, le biciclette i ponsacchini e i baci sono sulla bocca di tutti, ormai.
Quel giorno che c’è la partita della Nazionale, è vero che il calcio fa schifo con tutti quei soldi, che si gioca male, che nel campionato sono tutti stranieri, ma quelli vanno bene, non sono mica profughi venuti con gli sbarchi! Comunque almeno la Nazionale fatemela vedere. Sì, però non puoi urlare, come al solito: passa la palla, tira in porta, arbitro cornuto! E noi la partita si vede sul canale speciale con il commento della Gialappa’s che almeno è più divertente. Ma se non posso nemmeno urlare e se devo anche stare a sentire le cazzate della Gialappa’ che partita è? Di cazzate preferisco le mie, me ne intendo e almeno partecipo. Ma poi, come si fa a giocare così? E passala quella palla! Tira in porta, cazzo! Quello era rigore, cornuto d’un arbitro, fanculo te e la Gialappa’s! Va bene vado a casa mia.
Quel giorno che sono solo a casa mia, sprofondato nel divano, in tenuta e modalità fantozziana, e vedo la partita della Nazionale e si gioca male, come al solito, e ci sono due commentatori, uno che fa la telecronaca e l’altro, in genere un ex allenatore o un ex giocatore, che fa il professorino odioso. Il tre-quattro-tre non va bene, sarebbe meglio la formazione a rombo, il gioco andrebbe spostato lungo la fascia, quella palla andava colpita d’interno. Ecchepalle! Arridateci il telecronista unico del proletariato. Quella voce che si limitava a descrivere la partita, che non sarebbe stato la stessa partita senza quella voce. Quella voce di fondo che ci faceva compagnia: Sandro Ciotti, Nando Martellini, Bruno Pizzul. E il capostipite Nicolò Carosio, anche se dette dell’etiope all’arbitro etiope. Ci piaceva quando ci raccontava di un “quasi goal” e che finita la telecronaca andava a farsi un “whiskaccio”.
Quei giorni di pomeriggio che vedi il Giro d’Italia o il Tour de France: è lo stesso, a parte i colori della maglia rosa e di quella gialla e che i francesi pensano di essere migliori. In testa ci sono tre corridori, in fuga da 100 km, pedalano bene, si danno il cambio. Hanno un vantaggio sul gruppo di sei minuti. Poi ne rimangono due, il vantaggio è sceso a tre minuti. Alla fine un uomo solo resta al comando della corsa, anche se, purtroppo, la sua maglia non è biancoceleste né il suo nome Fausto Coppi. Mancano trenta chilometri all’arrivo. E’ uno straniero. Forse ce la fa. Lui va a 40 all’ora. Ha ancora due minuti di vantaggio. Ma il gruppo pedala ad una velocità di 50 chilometri orari, le squadre tirano in fila indiana per proteggere dal vento e riportare sotto i propri capitani. Te speri che almeno questa volta, quella fuga vada in porto, fanculo capitani, uomini di classifica e velocisti, vogliamo vedere le gesta di un ciclismo di altri tempi, una vittoria solitaria per distacco! A 500 metri dal traguardo il corridore in fuga viene ripreso, come successe a Bitossi, “Cuore matto”, al Campionato del Mondo, che lo passò Basso sul traguardo e noi soffrimmo più per la sconfitta di Bitossi di quanto gioimmo per la vittoria di Basso. Specie noi toscani. I gregari che hanno tirato, spremuti, si fanno da parte. La squadra contro il singolo, la pianificazione contro l’impresa. I capitani conservano il posto in classifica, la volata se la disputano i soliti velocisti. O, ma mai che vincesse un italiano! E c’è una squadra più potente di tutti che compra i migliori e ne fa dei gregari, li assolda al servizio del Capitano. E se per disgrazia non vincerà lui, sarà comunque un altro della squadra. E c’è un Capitano che, a parte qualche bella affermazione, vince più giri che tappe. Che quando pedala in salita va anche forte, ma sembra la mi’ nonna in carriola. Se fosse come nella maratona, che i giudici controllano lo stile, andrebbe squalificato per pedalata scorretta. Poi è asmatico e prende il Ventolin che c’è una sostanza proibita; è stato indagato per doping, ma è stato assolto. I suoi avvocati hanno prodotto una documentazione difensiva di migliaia di pagine. Anche Che Guevara era asmatico e faceva la rivoluzione, ma non il Tour de France o il Giro d’Italia e da giovane andava in motocicletta, mica in bici. E pure la mi’ nonna, quella in carriola, era asmatica, ma lei ricamava. Rivogliamo Coppi, l’Airone, il Campionissimo con dama bianca al seguito, Bartali che fa incazzare i francesi, il cannibale Merckx, il pirata Pantani con tanto di bandana. Basta squadre che comprano mercato e vittorie, il ciclismo è dei tifosi, quelli corretti, non gli scemi che sbraitano o peggio, è del popolo che lo guarda lungo le strade e dei campioni e dei “coglioni” onesti che pedalano. Ridateci quello.
Quel giorno che ti si accende un messaggio sul computer e te clicchi a caso senza leggere oppure leggi, non capisci una mazza e clicchi ugualmente e poi tutto si blocca e devi chiamare i tuoi figli e ti rendi finalmente conto che, da risorsa, sei diventato un problema. E sopratutto che il tempo passa e te con lui. E non sono solo gli anni, sono gli aggiornamenti! Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 29 Luglio 2018
Libero Venturi