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martedì 19 marzo 2024

TURBATIVE — il Blog di Franco Bonciani

Franco Bonciani

Franco Bonciani, fiorentino, tecnico, docente e dirigente sportivo, gestore di impianti natatori. Con uno sguardo attento e scanzonato su quello che gli succede attorno

Genova, quando la Lanterna diventa un cerino

di Franco Bonciani - lunedì 20 agosto 2018 ore 05:49

Il dolore, l’incredulità e soprattutto l’incazzatura provata per la tragedia del ponte Morandi a Genova il 14 agosto sono stati un qualcosa mai provato prima.

Peggiore di qualsiasi attentato terroristico, da piazza Fontana alla stazione di Bologna all’Italicus, per rimanere a casa nostra: sapevamo che c’erano dei responsabili che volevano che tutto questo accadesse.

Più assurdo di una qualsiasi calamità naturale: terremoti, alluvioni, eruzioni, sappiamo che fanno parte dei “rischi della vita”. Che dovremmo limitare con la prevenzione ma questa è un’altra storia.

Genova è diversa. Genova assomiglia tanto al Vajont, una bomba ad orologeria che prima o poi sarebbe esplosa, se non fosse stato fatto il possibile per disinnescarla. Una manutenzione straordinaria efficace, una variante, un qualcosa che mettesse al riparo dai rischi una strada sulla quale siamo passati tutti. E tutti, probabilmente, con due pensieri in testa: “Oioioi, speriamo che regga” e poi “Oh, ma questa roba così in alto sopra tutte queste case?”.

E invece…

Sono da pochi giorni in Salento e mi sono fatto 870 chilometri in auto, ogni volta che son passato sopra o sotto un viadotto ho tentato di controllare se ci fossero segni di cedimento, anche piccole screpolature: non è stato un viaggio come gli altri.

Intanto abbiamo assistito al teatrino di questa inadeguata classe politica che si rimpalla le responsabilità facendo a gara a chi strilla di più, anche durante i funerali di Stato. Nemmeno il buon gusto di tenere chiusa la bocca e a bada le propri falangi.

Ciliegina sulla torta, la dichiarazione dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. Dopo giorni di assordante silenzio, la società concessionaria se ne esce fuori con un “Non riteniamo che ci siano le condizioni per un’assunzione di responsabilità per il crollo”. Come se Schettino avesse detto che il naufragio della Costa Concordia in fondo era accaduto per colpa dello scoglio.

Non so di chi siano le responsabilità materiali della sciagura, spero che vengano individuate e che chi ha colpe le paghi fino in fondo. Mi auguro che non accada come è successo a Firenze quando s’è aperto in due il lungarno Torrigiani (e per fortuna i danni si sono limitati a una trentina di auto sott’acqua, oltre che allo stesso lungarno): l’inchiesta penale che viene archiviata perché i possibili responsabili erano così tanti che era impossibile procedere. Eppure, anche lì, c’erano perdite, una previsione di lavori che chi sa quando sarebbero stati eseguiti, meno male che non c’è scappato il morto.

Non sono un tecnico, non entro nel merito delle cause. Entro invece nel merito delle dinamiche, delle considerazioni, delle prese di posizione delle varie parti che danno vita a questo infimo livello della politica nazionale. Non solo genovese.

Chi dice che la variante della Gronda non è stata fatta per colpa dei comitati (fatti propri da chi è al Governo adesso e tenta di far sparire comunicati e video con le prese di posizione di allora). Chi sostiene che tutte le responsabilità siano dei Governi precedenti, per non aver controllato l'attività di Autostrade per l'Italia e per aver rilasciato le concessioni a condizioni sfacciatamente convenienti per la società dei Benetton (sulle modalità della proroga ottenuta nel 2018 e sugli impegni che avrebbero dovuto sostenere per continuare ad incassare i pedaggi spero si faccia luce presto). Chi accusa Regione Liguria, Provincia/Comune di Genova.

Polemiche tra quelli che sono per “fare le cose” e quelli dei comitati che dicono di no a tutto. Tra chi si ammanta di progressismo e chi vuole rimanere ancorato all’esistente, senza muovere una foglia.

Una questione fra tifoserie opposte dove l’integralismo regna sovrano.

In genere non ho simpatie per i “Comitati”, quelli che si oppongono a qualunque opera che comporti un cambiamento, specie perchè, aldilà di certi “NO”, non ci sono proposte, progettualità reali, competenze vere (“il Ponte Morandi durerà altri 100 anni”, come no…).

Sono convinto che se ai tempi di Brunelleschi ci fossero stati certi comitati e avessero avuto la stessa forza (molto social) attuale forse a Firenze non avremmo la Cupola: vuoi mettere l’impatto ambientale di quella costruzione nella città del 1400? O magari sarebbe stata sufficiente la Soprintendenza, che non ha fatto installare in qualche fermata della nuova tramvia le pensiline (una ganzata, così si sta sotto al sole d’estate e la pioggia d’inverno) quando invece ha autorizzato tutta una giungla di pali con sfondo Santa Maria Novella.

Mi fanno imbestialire quelli che si legano ad un albero, all’amico albero (spesso in là con gli anni e nemmeno troppo in salute) per evitarne l’abbattimento. Alberi che a volte sono a fine corsa (e Firenze ne è piena, si veda quello schiantato sul lungarno su un pullman recentemente, anche lì nessun morto, e zia e nipote morte alle Cascine qualche anno fa sotto un ramo crollato). Mi piacerebbe chiedere, a questi che si abbracciano agli alberi, se favoriscono documenti, garanzie adeguate e l’impegno a rifondere personalmente ogni danno causato dall’amico verde in futuro.

Poi però la medaglia ha un altro lato.

Quello della speculazione sui lavori, non di rado inutili, e la loro cattiva esecuzione. I lavori incompiuti dei Mondiali di calcio di Italia 90. Quelli di Roma 2009, in particolare la città dello sport a Tor Vergata, con quell’assurdo e costosissimo scheletro delle Vele di Calatrava.

L’inutilità e lo spreco nella realizzazione di molte stazioni dell’Alta Velocità, di cui fa bella mostra la buca scavata per realizzare quella di Firenze, la Foster, morta in culla. Una culla carissima, anche qui di milioni d‘euro ne sono volati via a centinaia.

C’è la telefonata, nella notte del 6 aprile 2009, la prima dopo il terremoto de l’Aquila, in cui gli imprenditori Piscicelli e Gagliardi ridono e fanno battute sull’opportunità di guadagnare che si apre per loro grazie alla sciagura.

C’è la netta sensazione, anzi, la convinzione, che più che di pubblici lavori ci si trovi di fronte, regolarmente, a speculazioni private a spese del pubblico.

Lavori che poco tempo dopo l’inaugurazione mostrano le prime crepe, come nel nuovo sottopasso realizzato a Firenze sempre nell’ambito dei lavori della tramvia. Lo inaugurano con tanto di cerimonia che paralizza il traffico cittadino nel giugno 2017: nel giugno 2018 è già chiuso per metà a causa di infiltrazioni di cui, per ora, sono sconosciute le cause.

Nel mezzo, in tutto il Belpaese, soffitti che crollano in aule e impianti sportivi, viadotti che collassano, “tragedie che si potevano e dovevano evitare” nella cronaca di tutti i giorni. So per esperienza diretta di cosa parlo.

Manutenzione, poca e spesso di scarsa qualità, destinata a durare un amen. Delle toppe. Le risorse disponibili destinate a qualcosa che si possa inaugurare in vista del prossimo voto mentre su altre emergenze si preferisce glissare, far finta di nulla, sperare che non succeda niente di grave. Segnalazioni che non ricevono risposta, se non “'Un c’è soldi!”.

Si appaltano lavori e si elargiscono favori ai soliti, quelli che poi ti sponsorizzano un’iniziativa, un intervento “che non costerà un euro al cittadino”.

Il cittadino finisce col pagare sempre, a caro prezzo. Basta con le favole, per favore.

Se non si capisce perché la gente non capisce, qualche domanda i politici se la dovrebbero fare: ci sono gli stupidi ma non tutti quelli che non ti approvano lo sono.

Chi amministra, chi governa, deve dimostrare di saper prendere impegni, assumere decisioni importanti anche senza un ritorno immediato, nell’interesse pubblico, di tutti, non solo dei “suoi”. Anche a costo di essere impopolare.

Per fare il politico, essere un buon amministratore, basterebbe avere due qualità: competenza e onestà. Il resto, le battute, le smorfie, le frasi come se uno fosse un mix fra Martin Luther King, John Kennedy e Gandhi lasciamole ad altri, tipo il Papa, che qualunque cosa dica non deve poi metterla in pratica direttamente. Il cinismo usiamolo con cautela, grazie.

Chi pensa di fare lo Statista non può ignorare o far finta di non vedere i problemi senza trovare le soluzioni, facendo scongiuri e nella speranza che il cerino finisca quando è passato nella mano di un altro.

Perché poi succede come a Genova: la fiamma della lanterna diventa un cerino che si spenge nella mano di 43 innocenti, alle 11.36 del 14 agosto 2018.

Franco Bonciani

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