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«Vibecession», il neologismo che spiega l’America
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Arte martedì 03 aprile 2018 ore 10:00

Il filo e l'infinito

Personale di Maria Lai a Palazzo Pitti, fino al 3 giugno



FIRENZE — Con il filo Maria Lai “lega” la tradizione della civiltà sarda con i linguaggi dell'arte contemporanea in una ricerca, durata oltre settant'anni, che ha mosso dal realismo lirico degli anni Quaranta fino alle più recenti opere concettuali.

Attraverso la storica arte sarda della tessitura, Maria Lai lega Ulassai, il suo paese natale sui monti dell'Ogliastra, le persone, il paesaggio, la sua biografia. Intreccia così trame che sono allo stesso tempo narrazione, memoria, vissuto, storie lunghe come la prima opera con la quale si impone all'attenzione dell'arte contemporanea internazionale: un nastro di stoffa lungo 26 chilometri che apre anche la mostra fiorentina. Nel 1967 realizza “Oggetto-paesaggio”: un telaio disfatto, ingombro di fili spezzati e senza ordine, che occupa lo spazio come un totem e che dialoga con l'arte concettuale e con le “armi” di Pascali, dell’anno precedente. In rapporto costante tanto con il passato quanto con la contemporaneità, Maria Lai utilizza le radici della propria storia – l'arcaico mondo tessile sardo – per dialogare con i polimaterici di Prampolini, i Sacchi di Burri, le Tele fasciate di Scarpitta, i tessuti irrigiditi dal caolino di Piero Manzoni, le tele di Castellani e Bonalumi o di Dadamaino. Sviluppo quasi fisiologico di questa narrazione sono, negli anni Settanta, le scritture e le fiabe visive come “Tenendo per mano un'ombra”, del 1987. Forti anche i riferimenti a Firenze nell'opera di Lai, che vanno dalle mappe immaginarie di Leonardo da Vinci all'opera “Il mare ha bisogno di fichi”, realizzata nel 1986 nell'anniversario dell'alluvione del '66. 


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