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Attualità lunedì 09 novembre 2015 ore 17:11

I detenuti di Porto Azzurro al convegno ecclesiale

​La voce dei detenuti del carcere di Porto Azzurro per il convegno ecclesiale di Firenze in preparazione della visita del Papa nella capitale



FIRENZE — Da lunedì 9 a venerdì 13, si svolge a Firenze il Convegno decennale della Chiesa italiana. Una grande assemblea di oltre duemila persone delegate da tutte le diocesi italiane che, martedì 10, incontreranno papa Francesco prima nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore e poi allo stadio Franchi. Tema dell'assise è: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.

Anche i detenuti di Porto Azzurro contribuiscono ai lavori del convegno ecclesiale. Nei giorni scorsi, alcuni reclusi si sono incontrati con don Francesco Guarguaglini, il cappellano, e con Nunzio Marotti, uno dei delegati diocesani al convegno. Come punto di partenza è stata assunta la sfida che attraversa il cattolicesimo attuale: "Essere accanto ad ogni uomo e donna per costruire insieme una società buona per tutti, in grado di accogliere e gioire del desiderio di bene che ognuno porta in sé come traccia dell'amore di Dio per ogni uomo". 

Dopo una breve introduzione, in cui sono stati evidenziati gli intenti del convegno fiorentino, si è aperta la serie degli interventi.

L'elemento maggiormente evidenziato, per far si che il carcere sia luogo di umanità ed umanizzazione, è quello della riparazione nei confronti della società. C'è il desiderio di rendere il tempo della detenzione utile agli altri, alla società, in particolare ai più deboli. Ecco allora la richiesta di raccogliere questa disponibilità, individuando occasioni di aiuto al prossimo e ai beni comuni come forma di riscatto personale e di restituzione sociale. 

Con chiarezza si è affermato che, attualmente, il carcere non riesce a svolgere in modo adeguato la sua funzione rieducativa. Mancano opportunità che consentano di "vivere il tempo e di non farsi vivere dal tempo". La noia tende a produrre uno stato di passività e rassegnazione di fronte al tempo che scorre, indebolendo così l'aspetto rieducativo e umanizzante della pena.

Nel corso dell'incontro, tanti hanno sottolineato di aver sperimentato, proprio in carcere, la nascita di amicizie autentiche e la solidarietà. "Per esempio, aiutare il nuovo arrivato, incoraggiandolo o donandogli qualcosa di necessario che manca, diventa esercizio di solidarietà concreta, gesti di umanità che umanizzano il carcere. Così come il consolare chi si trova in uno stato di afflizione. E tutto questo è reso possibile dalla comune condizione di sofferenza, che, spesso per la prima volta, fa vedere la vita e le persone con occhi diversi. C'è anche chi sottolinea che, nel carcere, l'unica realtà positiva che è riuscito a trovare è la libertà di pregare".


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