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Attualità sabato 11 dicembre 2021 ore 10:43

Crisi pronto soccorso, in futuro cure domiciliari

Allarme del presidente della Fondazione Santa Maria Nuova: “Pronto soccorso in crisi, innalzare il livello di intensità delle cure, anche a domicilio”



FIRENZE — Il modello sanitario impostato 20 anni fa e basato sull'idea che tutto dovesse passare dal Pronto soccorso sarebbe in crisi, a dirlo è Giancarlo Landini, presidente della Fondazione Santa Maria Nuova onlus.

La crisi che sta investendo i nostri pronto soccorso e le nostre medicine di urgenza è una crisi grave, strutturale e non legata alla contingenza del momento. E' entrato in una spirale di declino irreversibile un modello impostato un ventennio fa e basato sull'idea che tutto dovesse passare dal pronto soccorso. Adesso dobbiamo cambiare rotta e ripartire dal territorio” ha spiegato.

Sarebbero due i motivi di questa crisi, secondo Landini “Da una parte l'eccessivo numero di arrivi di pazienti dal territorio, pazienti spesso acuti che non trovano nessuna risposta sul territorio e sono costretti ad andare al pronto soccorso. Dall'altra, l'enorme lavoro dei medici dei pronto soccorso che si sobbarcano una mole di lavoro enorme senza una prospettiva di carriera, senza poter seguire i loro pazienti nell'evoluzione del percorso di cura e senza adeguati ricambi. Nè gratificati né realizzati, tanti medici rimangono sempre in prima linea, non vanno mai in seconda linea, e da qui nascono tanti casi di “burn out”, nasce la disaffezione alla specialità, ne deriva la fuga dalla specialità della medicina d'urgenza e il progressivo abbandono del pronto soccorso”. 

Giancarlo Landini, presidente della Fondazione Santa Maria Nuova onlus

“Le proposte fatte per risolvere questo tipo di problema sono state per ora non appropriate. Una è stata quella di costringere i medici di medicina interna a lavorare al pronto soccorso, ma è una idea di corto respiro, che conduce a fuggire più che a restare. E' difficile pensare di costringere una professione intellettuale come il medico a fare per forza una scelta impegnativa come il pronto soccorso, se si fa la si fa spontaneamente. L'altro errore sarebbe quello di affidare la gestione dei codici minori a medici di medicina generale e guardie mediche. C'è qualcuno che pensa di proporlo ma sarebbe sbagliato. Sarebbe una mossa priva di senso perché già abbiamo un territorio depauperato di competenze, se ne leviamo ancora altre dal territorio e le mettiamo al pronto soccorso non facciamo il bene di nessuno. Sono azioni che non portano a niente. In realtà bisogna cambiare del tutto il sistema”.

Cosa fare? “Occorre mettere in piedi un sistema più equilibrato, in cui il territorio svolge una parte di lavoro e in cui la medicina d'urgenza non è lasciata sola alla porta dell'ospedale. In questo senso il dipartimento della medicina dell'Asl centro che dirigo sta mettendo a punto delle azioni che potrebbero migliorare le cose in futuro, d'intesa con il direttore generale Paolo Morello. In primo luogo la presa in carico precoce da parte degli internisti e dei geriatri dei pazienti al pronto soccorso. Pazienti che hanno queste caratteristiche, e sono in numero maggiore, sono presi in carico da chi ha queste specialità, tolti dal pronto soccorso e portati in strutture “boarding unit”. I geriatri hanno un vantaggio perché conoscono il territorio e possono da qui mandare i pazienti direttamente alle cure intermedie o alle Rsa. L'altra azione è stata la creazione del Girot, il gruppo di intervento rapido ospedale-territorio, i cui geriatri curano a casa i pazienti anziani e polipatologici e di basso livello funzionale senza farli giungere in ospedale. I primi dati sul Girot sono molto buoni, c'è una riduzione dei ricoveri e la mortalità è ridotta, il delirio del paziente anziano è azzerato. La strada è sicuramente l'innalzamento del livello delle intensità di cure, non solo degli specialisti ma anche per medici di medicina generale e infermieri di famiglia. La sfida per salvare i pronto soccorso si vince sul territorio”.


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