Cultura

Team del Meyer trova la causa di una sindrome

Individuato il gene responsabile di una malformazione cerebrale che si manifesta nei bambini con epilessia, deficit cognitivi e disturbi motori

Dai sintomi al gene responsabile: 22 anni dopo aver descritto per la prima volta la sindrome perisilvana congenita, il team di Neurologia dell'ospedale pediatrico Meyer ne ha messo a fuoco la causa. Una scoperta che si è conquistata la copertina della rivista Lancet Neurology.

La sindrome coinvolge le circonvolluzioni localizzate intorno al principale solco negli emisferi cerebrali, la scissura di Silvio, una delle principali strutture del cervello umano. 

A scoprire il gene, battezzato PIK3R2, è stato il gruppo di ricerca di Neurologia diretto e coordinato dal professore Renzo Guerrini, nell’ambito di una collaborazione tra il Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Pediatrico Meyer e il Center for Integrative Brain Research del Seattle Children's Research Institute. 

I risultati della ricerca sono destinati ad avere un’immediata ricaduta diagnostica.

L’identificazione del gene come causa della sindrome consente infatti agli specialisti di poter indicare alle famiglie dei pazienti il rischio di ricorrenza della patologia nelle generazioni successive, così da offrire un'adeguata consulenza genetica. Lo studio apre anche prospettive terapeutiche nell’ambito della medicina personalizzata, resa cioè individuale in funzione delle specifiche cause. 

“PIK3R2 appartiene a una famiglia di geni già correlati a una serie di anomalie dello sviluppo del cervello che sono causa di epilessia e di altre manifestazioni cliniche precoci - spiega Renzo  Guerrini - Questi geni, se alterati, generano proteine che perdendo la loro funzione consentono un’attivazione eccessiva dei processi di proliferazione delle cellule nelle fasi precoci dello sviluppo cerebrale. La conseguenza è che un numero eccessivo di cellule compete per acquisire la corretta posizione e funzione nella corteccia cerebrale, dando origine a una corteccia disorganizzata. Su alcuni modelli animali si è notato che farmaci già noti possono inibire questi processi di iperattivazione. Ovviamente una cura ancora non c’è ma si tratta di prospettive interessanti”.

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