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Attualità martedì 11 giugno 2019 ore 13:00

Oncologia, socialità a Santa Maria Annunziata

All'interno del Day Hospital oncologico del Santa Maria Annunziata si tiene un laboratorio di preparazione di copricapo africani tradizionali



FIRENZE —  Il Progetto Turbanti è un laboratorio di preparazione di copricapo africani tradizionali che si svolge all’interno del Day Hospital oncologico del Santa Maria Annunziata, ed al quale partecipano donne calve per via della chemioterapia, che soffrono ma che stanno combattendo la stessa battaglia, pagando il prezzo della rinuncia a una parte simbolicamente importante per una donna come i capelli. Nella cultura africana, il turbante è simbolo di forza, bellezza e fierezza,mentre per le donne indiane i capelli hanno un valore religioso e metaforico forte, una valenza comunicativa e sessuale.

 Il laboratorio di preparazione dei turbanti è condotto da un gruppo di donne dell’Africa subsahariana che provengono dal laboratorio di sartoria sociale Bazin. Incontreranno un gruppo di 5-6 donne senza capelli e porteranno la loro esperienza all’interno del DH oncologico, insegnando loro a preparare e indossare il turbante, con o senza parrucca, con qualche consiglio anche sugli abbinamenti.

Il progetto nasce dalla struttura di psiconcologia della Ausl Toscana centro di cui è direttore Lucia Caligiani. Partito circa due anni rientra nell’ambito della riabilitazione psiconcologica del Dipartimento oncologico della Ausl Toscana centro diretto da Luisa Fioretto. Il progetto poi è proseguito con la collaborazione con Avo Firenze ODV Associazione Volontari Ospedalieri che finanzia il progetto “Diversamente belle” condotto insieme al Dipartimento Oncologico della Ausl di cui l’attività dedicata ai turbanti fa parte.

“C’è tutto in questo progetto - sottolinea Caligiani - la contaminazione culturale attraverso le usanze tradizionali e l’integrazione sociale tra donne straniere e italiane. L’idea dello straniero che “colonizza”, che entra nel Day Hospital del Santa Maria Annunziata e porta la sua tradizione. I nostri spazi diventano così terra d’incontro di relazioni e narrazioni”. 


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