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Attualità domenica 22 luglio 2018 ore 13:00

Autovelox viale Lavagnini, ha ragione il Comune

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell'ente sulla presunta irregolarità del dispositivo dopo la sentenza del tribunale



FIRENZE — Ancora una volta la Corte di Cassazione dà ragione al Comune sulla regolarità degli autovelox.

Nel 2016 la Suprema Corte aveva accolto il ricorso dell’Amministrazione annullando (per difetto di istruttoria) la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva giudicato illegittimo l'utilizzo dell'autovelox di viale Etruria, rinviando per un nuovo giudizio.

Nella sentenza dello scorso febbraio la Cassazione ha respinto perché inammissibile il ricorso promosso contro la sentenza del Tribunale che riteneva legittimo l'utilizzo dell'autovelox di viale Lavagnini, condannando il ricorrente alle spese di lite.

Benché anche in questo caso la Corte non si sia spinta a valutare le caratteristiche della strada (si tratta di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito) la sentenza appare rilevante perché conferma una decisione del Tribunale totalmente favorevole all’Amministrazione comunale.

Nello specifico il ricorrente contestava prima di tutto la decisione con cui il giudice di secondo grado aveva stabilito che viale Lavagnini possedesse le caratteristiche di una strada urbana di scorrimento. Un rilievo appunto inammissibile per la Suprema Corte: “non può ricondursi nell’ambito del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto quale motivo di ricorso per Cassazione… la deduzione con la quale si contesti al giudice di merito non di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di aver erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, giacché siffatta valutazione comporta un giudizio non già di diritto bensì di fatto eventualmente impugnabile sotto il profilo del vizio di motivazione”.

Il secondo punto del ricorso riguardava invece il Comune e confutava la trasmissione dei dati alle Poste Italiane per la notificazione della sanzione. Anche su questo la sentenza della Cassazione osserva “la palese infondatezza della allegazione secondo cui il Comune avrebbe violato la legge 1.196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e sarebbe incorso nella sanzione ….. della stessa legge, vale a dire l’inutilizzabilità dei dati”.

I giudici osservano infatti che i cosiddetti dati sensibili contenuti nel verbale riguardavano esclusivamente il numero di targa del motoveicolo del ricorrente e la relativa intestazione del mezzo, mentre non risultavano dal verbale le generalità del conducente, nonché le circostanze di tempo e luogo dell’infrazione. E che il numero di targa e la conseguente intestazioni del veicolo costituisce un dato pubblico, reperibile presso il Pra. In assenza di indicazioni del conducente non possono inoltre qualificarsi con dati personali, le circostanze di tempo e luogo dell’infrazione, non essendo riferibili ad alcune specifica persona fisica ma al veicolo. Poste Italiane infine non fa alcun trattamento dei dati limitandosi a stampare il verbale e a imbustarlo per la successiva notifica.


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