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Tumore al seno, uno studio per terapie più efficaci

Uno studio coordinato dall'università di Firenze apre la strada a terapie combinate più efficaci per superare la progressiva resistenza ai farmaci

Uno studio dell'università di Firenze ha individuato un potenziale punto debole nei tumori della mammella legati alle mutazioni del gene Esr1, una condizione associata a forme più aggressive e resistenti alla terapia endocrina. Un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi di resistenza nel tumore al seno, che apre la strada a terapie combinate più efficaci.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Cancer Research, è coordinata da Andrea Morandi, docente di Biochimica al Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche.

"Le terapie ormonali o endocrine - si legge in una nota dell'ateneo fiorentino- sono mirate a contrastare quei tumori stimolati da ormoni femminili come gli estrogeni e rappresentano uno dei trattamenti cardine del carcinoma mammario. Tuttavia, gran parte delle pazienti sottoposte a queste cure, fino al 30%, sviluppa nel tempo resistenza ai farmaci"

Lo studio ha rivelato come le mutazioni del gene Esr1, che produce proprio il recettore degli estrogeni, non solo rendano le cellule tumorali indipendenti dagli ormoni, ma provochino profondi cambiamenti nel loro metabolismo lipidico.

“Le mutazioni rendono il recettore attivo in modo permanente, anche quando il farmaco o la terapia hanno bloccato gli ormoni: in pratica, il tumore continua a comportarsi come se fosse ‘alimentato dagli estrogeni anche in loro assenza – spiega Morandi –. Abbiamo osservato che queste cellule esprimono alti livelli dell’enzima Acsl4, un indicatore chiave di sensibilità alla ferroptosi, una particolare forma di morte cellulare causata dall’ossidazione dei lipidi. La nostra ricerca – continua – ha dimostrato che stimolare la ferroptosi con farmaci mirati, insieme ai degradatori del recettore estrogenico (SERDs), che è lo standard terapeutico per questo tipo di tumore, potenzia l’efficacia del trattamento nei modelli preclinici”.

“Un risultato che apre la strada a strategie combinate capaci di colpire selettivamente le cellule resistenti, trasformando una mutazione sfavorevole in un possibile punto di attacco – sottolinea Francesca Bonechi, dottoranda Unifi e prima firmataria dell’articolo –. Inoltre, l’espressione elevata di Acsl4 nei campioni tumorali umani suggerisce che questo enzima possa essere impiegato come biomarcatore per identificare le pazienti che potrebbero trarre maggiore beneficio da questi approcci terapeutici”.

“Questa scoperta – conclude Morandi – potrebbe avere un impatto concreto nella gestione dei tumori al seno resistenti alle attuali terapie ormonali, perché offre un nuovo modo per selezionare i trattamenti più efficaci. Correggere i meccanismi metabolici alterati significa non solo potenziare le terapie esistenti, ma anche sviluppare farmaci mirati che sfruttino la vulnerabilità stessa del tumore. L’obiettivo ora è trasferire questi risultati alla clinica, verificando in studi futuri se ACSL4 possa essere utilizzato per identificare precocemente le pazienti a rischio di resistenza e guidare protocolli terapeutici personalizzati”.

Il progetto ha coinvolto un’ampia rete di collaborazioni nazionali e internazionali, tra cui l’Institut Curie di Parigi, il Cro di Aviano, l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Università della Calabria, oltre alla Breast Unit – Centro di Senologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze. L’iniziativa si è inoltre sviluppata in sinergia con la Fondazione Radioterapia Oncologica ed è stata sostenuta dalla Fondazione CR Firenze tramite un Investigator Grant Airc assegnato da Fondazione Airc al professor Morandi.