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Tassa sul panino, il virus passa ma l'untore resta

La tassa sul panino o anche gabella dell'unto ha aperto una polemica che ha riportato la città d'arte indietro nel tempo, prima della pandemia

Anche la cosiddetta "tassa sul panino" è sfuggita di mano, forse per colpa dell'unto. Non si placano le polemiche dopo la provocazione lanciata dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt che ha proposto di tassare le consumazioni per pagare la pulizia di strade, marciapiedi, loggiati e scale monumentali dai resti dei bivacchi.

I consumatori sono insorti contro la gabella richiamando l'amministrazione museale e cittadina ad assumersi la responsabilità di non aver individuato o creato spazi idonei per i turisti che trovano il cibo da strada e da qualche parte, in strada, lo devono consumare.

Le categorie economiche hanno rigettato l'idea che provocherebbe scompensi sui ricavi ed inevitabilmente sui prezzi, diminuendo le vendite.

Dalla "tassa sul panino" è nato l'invito a ricordare la battaglia degli idranti per allontanare i bivacchi dai sagrati delle chiese, l'ordinanza anti-panino e l'arrivo delle fioriere in via de' Neri e degli steward per organizzare le file all'ora di pranzo. 

Sempre dalla "tassa sul panino" è nata la corsa a fare i conti in tasca ai commercianti che propongono panini a tutte le ore. La risposta è che costano tanto. Strano per una città d'arte dove si può arrivare a pagare 3 euro per un caffè. E' il prezzo del museo a cielo aperto ma la riflessione non risolve il problema.

Il Covid non esisteva ancora, la pausa pranzo era una bolgia infernale tra i vicoli di Firenze e gli untori erano solo i mangiatori di panini. Era l'estate del 2019.

Un anno e mezzo di pandemia non sembra essere bastato a cambiare le cose.