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Il mare ha mal di plastica

In uno studio a cui partecipa l'università di Firenze, unica italiana nella ricerca guidata da Hong Kong, gli effetti dell'inquinamento sui pesci

La plastica soffoca il mare e i pesci

In media ogni chilo di pesci tra molluschi e crostacei soprattutto contiene 98 pezzetti di microplastiche, e più in generale la plastica nei pesci è 200 volte superiore rispetto a quella in acqua. Il mare soffre e la sua malattia è la plastica, l'inquinamento che configura una delle emergenze ecologiche mondiali. 

Sì lo si è affermato spesso, ma adesso la conferma scientifica della rilevanza e della gravità del fenomeno arriva da uno studio internazionale pubblicato su “Environmental Science & Technology” a cui ha partecipato Stefano Cannicci, docente di Zoologia dell’Università di Firenze, unica istituzione italiana coinvolta nella ricerca guidata da studiosi dell’Università di lingua cinese di Hong Kong e intitolata “Fate and Effects of Macro-and Microplastics in Coastal Wetlands”.

Il gruppo di scienziati ha passato al vaglio i dati contenuti in 112 lavori scientifici riguardanti l’inquinamento da macro e microplastica in numerose zone umide costiere di tutti i continenti del mondo. Il risultato medio finale non lascia spazio ad interpretazioni: negli animali marini si trova una quantità di microplastiche pari a circa 200 volte quella presente nell’acqua.

“Per convenzione – spiega Cannicci – si definiscono microplastiche i pezzetti più piccoli di 0.5 centimetri. I dati analizzati portano ad una media di 98 pezzetti di microplastiche contenuti all’interno di ogni chilo di animale marino delle zone costiere. Si parla di granchi, crostacei, chiocciole, cozze, vongole e pesci di varie dimensioni. La plastica solo in parte viene espulsa e la restante rimane nel loro stomaco, togliendo spazio al cibo vero, con conseguente carenza di energia, fino al deperimento. Sulle coste il dato è ancora peggiore: in media 156 pezzettini di microplastiche ogni chilo di sedimento”.

La speranza arriva dai batteri: “Una parte delle plastiche è entrata nel ciclo del carbonio – rivela ancora Cannicci - cioè esiste una flora batterica capace alla lunga di decomporla. È un elemento di speranza e uno spunto per approfondire le ricerche".