Una messa per ricordare le vittime che il disastro del 4 novembre 1966 si lasciò dietro, ma anche per ravvivare quel carattere forte di cui i fiorentini seppero dare prova nel momento drammatico dell'esondazione. Un carattere impetuoso come quello del fiume che attraversa Firenze e che da questo punto di vista tanto sembra somigliarle.
A risollevare la città, ha detto Betori che fu anche angelo del fango, prima di tutto ci fu "la fierezza e la dignità dei fiorentini, la loro volontà di non darla vinta alle acque limacciose, il coraggio di affrontare il futuro per difendere l'identità di questa città".
I fiorentini "si strinsero l'un l'altro per il bene comune", ha ricordato l''arcivescovo. Un'unione riconosciuta a suo tempo anche da Papa Paolo VI che celebrò la messa della notte di Natale 1966 nella cattedrale di Santa Maria del Fiore: "Conosciamo le vostre virtù umane e civili, la vostra tempra fiorentina, vibrante d'intelligenza, di coraggio, di laboriosità, di senso acuto ed operante della realtà - disse Paolo VI - sono virtù queste, che, messe alla prova, insorgono, si affermano e si accrescono; non cedono".
Betori ha poi ricordato che, nella gestione delle calamità naturali, "non c''è spazio per il fatalismo; c'è un invito a fare tutto ciò che si deve, senza ulteriori rinvii, per mettere in opera quanto può proteggere il nostro territorio".