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Rogo nel capannone, i migranti pronti a trattare

Gli occupanti del palazzo dei gesuiti hanno chiesto che il direttore dello Stensen Ennio Brovedani sia il loro intermediario con le istituzioni

Qualcosa si muove. Da un lato ci sono i Comuni dell'area metropolitana che nell'ultimo comitato per l'ordine e la sicurezza in prefettura hanno messo a disposizione settanta posti divisi tra più strutture per i migranti che vivevano nel capannone dell'Osmannoro un tempo sede del mobilificio Aiazzone andato in fiamme nella notte tra l'11 e il 12 gennaio. Dall'altro ci sono loro, i migranti che dopo la tragedia in cui ha perso la vita il 44enne somalo Alì Muse hanno occupato l'edificio di proprietà dei gesuiti in via Spaventa. 

Ora i circa 90 somali che si trovano nell'edificio si dicono "pronti ad accettare soluzioni", purché non siano temporanee, e a patto che a gestire le trattative con le istituzioni sia padre Ennio Brovedani, gesuita direttore della fondazione culturale Stensen proprietaria dell'immobile occupato. 

"Accettiamo di parlare con tutti, ma vogliamo essere noi a discutere dei nostri problemi", ha affermato Mohamed Alì, uno degli occupanti originario della Sierra Leone."Non rimarremo qui per sempre lo faremo fino a che lo Stato non ci offrirà una proposta che possiamo valutare bene". "Possiamo anche venire divisi questo non ci importa, purché le soluzioni che ci vengono offerte non siano temporanee". 

L'incontro convocato dagli stessi migranti, tra l'altro, è iniziato più tardi del previsto per una discussione che si è generata tra gli occupanti, alcuni disposti, a quanto pare, ad accettare ogni tipo di soluzione indipendentemente dalla durata prevista.